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cucina Milanese........
L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di
qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più
tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi di fuso.
Un riso non interamente « sbramato », cioè non interamente spogliato
del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e
lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il
chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani
d’una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o
color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti
eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i
frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla
paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il
risotto alla milanese: un po’ più scuro, è vero, dopo l’aurato
battesimo dello zafferano.
Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la
casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di
ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in
poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della
vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del « rame » o dei
«rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di
noverarla nei suoi poetici « interni », ove i lucidi rami più d’una
volta figurano sull’ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del
sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio rame, non
rimane che aver fede nel sostituto: l’alluminio.
La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con
la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla
tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e
burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il numero de’ commensali. Al primo
soffriggere di codesto modico apporto, butirroso-cipollino, per piccoli
reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a
raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo l’appetito
prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé
solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci
avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto
rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in
codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria « personalità »:
non impastarsi e neppure aggrumarsi.
Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o
intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da
indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia,
e cuoce, per l’aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete
esser cauti, e solerti: aggiungete un po’ per volta del brodo, a
principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella «
marginale », che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo
zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico,
venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore.
Per otto persone due cucchiaini da caffè.
Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color giallo mandarino:
talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a
risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po’ meno,
due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro
canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato
degli dei è reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio
Asclepio, e immettere nel sacro « risotto alla milanese » ingredienti
di prima (qualità): il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera,
il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline; per il brodo,
un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla pianura
padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo
zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si
tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza
sigaretta. Non ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i
familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla
Carlo Erba il suo ragionevole guadagno. No! Per il burro, in mancanza
di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo,
Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle
risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona. Alla
margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!
Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli
iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue)
previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in
altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà
cottura all’incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno
rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia
all’ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non
più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano,
pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più
cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da
prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda
quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po’
più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de’ suddetti
succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato
in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano
grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione
della sobrietà e dell’eleganza milanesi. Alle prime acquate di
settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie
asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno
decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso
tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la
soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il
profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.
C. E. Gadda
foto di Ilaria